popolo migratore

Recensione: “Il popolo migratore”

Dato lo schifo di tempo (soprattutto a causa del vento) che, ahimé, ho avuto in questa settimana di ferie, mi sto consolando con attività alternative e, per non cambiare troppo il genere, ieri sera mi sono rivisto il DVD dello splendido film “Il popolo migratore” di Jacques Perrin. Colgo così l’occasione di farvene una recensione, riprendendo parte del testo che avevo scritto per un altro sito.

il popolo migratoreDocumentario o film? In casi come questi credo che il confine tra l’una e l’altra definizione sia molto labile. Fondamentalmente «Il popolo migratore» è un documentario sugli uccelli migratori, la cui poesia è però molto più vicina a quella di un film: anche in questo caso, come per Microcosmos, sono gli animali a raccontare le proprie abitudini, non la classica voce che si sente abitualmente nei documentari. L’unico intervento descrittivo sono poche righe di testo, sovrapposte alle immagini, che riportano il nome di alcuni uccelli e la distanza che ricoprono nella loro migrazione; e la voce narrante che interviene brevemente completando la poesia.
Ma i veri protagonisti restano gli uccelli: gru, oche selvatiche, anatre, pellicani, cicogne, albatri, sterne, pinguini… una moltitudine di individui, un popolo che, appunto, ogni anno compie lunghi viaggi attraverso stati e continenti per poter portare avanti la propria sopravvivenza.
Già… il fenomeno migratorio è una questione di sopravvivenza: durante i rigidi inverni gli uccelli devono raggiungere le località di svernamento, nei paesi più caldi. Ma a primavera fanno ritorno nel luogo in cui sono nati dove si riprodurranno a loro volta per assicurare il proseguimento della specie. Un ciclo che si ripete, ogni anno, e che viene sottolineato nel film dalle immagini in apertura e chiusura (se avete visto il film sapete a cosa mi riferisco).

Questi lunghi viaggi, che per alcune specie come la sterna artica possono aggirarsi sui 35.000 km (da un Polo all’altro!!!), non sono però privi di pericoli. E nel film un importante aspetto che viene preso in considerazione è proprio questo; tant’è che basta un’ala spezzata per diventare preda di un branco di granchi affamati. Così come una rete, gli scarichi industriali, le attività umane in genere possono diventare una trappola che può portare gli animali alla morte.
Ci sono immagini molto forti in tal senso nel film. La presenza dell’uomo – narrazione a parte – è estremamente limitata, ma purtroppo salvo rari casi (come nell’immagine di una donna che esce di casa per rifocillare un piccolo gruppo di gru) l’uomo non è propriamente d’aiuto al “popolo migratore” e talvolta… anzi… molto spesso si trasforma in un carceriere se non in un vero e proprio esecutore.
Tra le immagini che più mi hanno lasciato un senso di amarezza ripenso ad una trebbiatrice che per un piccolo uccello che nidifica nei campi può essere fatale. Ma se in casi come questi parliamo di incidenti, non si può dire lo stesso delle tristi immagini delle oche in formazione che una ad una crollano prive di vita al suolo, vittime degli spari dei cacciatori. Ed ancora mi ha fatto scendere qualche lacrima l’immagine di due oche canadesi (allevate talvolta come animali da fattoria, anche qui da noi) rinchiuse in una gabbia che al passaggio delle loro “sorelle” lanciano un disperato richiamo, infondendo un gran senso di tristezza. Così come pure pappagalli, tucani ed altri animali rinchiusi in strette gabbie su di una barca, catturati dalle popolazioni locali per alimentare il mercato di animali esotici dei pasi occidentali.

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Alcune delle scene estremamente tristi tratte dal film.

Probabilmente “Il popolo migratore” potrà non piacere a tutti perché un’ora e mezza di immagini di uccelli senza commento è lunga. Ma, come dicevo, è un film molto poetico, emozionante, che riesce molto più di un documentario tradizionale a far conoscere il “mistero della migrazione”. Un film che serve anche a sensibilizzare sulle problematiche relative al fenomeno a cui, peraltro, hanno collaborato fin dall’inizio anche il WWF e la LIPU per la sua valenza educativa e di denuncia del film stesso.
Bellissima, infine, la colonna sonora che accompagna le immagini. Brani prevalentemente strumentali che descrivono l’eleganza e maesosità del volo degli uccelli, così come la drammaticità di alcune scene.

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